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  /  News   /  La Corte di Cassazione in tema di responsabilità per danni al dipendente e azione di regresso INAIL. La Sentenza n.8077 del 21.04.2016 della Sezione Lavoro.
La Corte di Cassazione in tema di responsabilità per danni al dipendente e azione di regresso INAIL
- Sezione Lavoro

La vicenda

Nel febbraio 2012 la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n.128/2012, rigettava l’appello promosso dalla società B. M. & C. SNC contro la sentenza del Tribunale di Livorno che aveva respinto la chiamata in garanzia verso la  T. Assicurazioni Spa, condannando la società a pagare all’INAIL, a titolo di regresso, la somma di €.69.428,16, in conseguenza dell’infortunio sui lavoro subito dal socio T. G.

La Corte territoriale rideterminava l’importo in €.37.089,19 e riteneva, quanto alla chiamata in causa della T. Assicurazioni Spa, l’inammissibilità ex art. 2722 c.c. della prova per testi dedotta dalla B. M. & C. SNC finalizzata a dimostrare l’estensione della copertura assicurativa anche ai danni che avessero attinto i soci.

Quanto alla responsabilità della società in merito al regresso dell’INAIL la Corte affermava che essa discendeva dalla sentenza di patteggiamento (con cui era stato definito il procedimento penale a carico di B. M., ritenuto datore di lavoro e responsabile legale), dalla contestazione penale, dalla negligenza strutturale propria dell’impianto del cantiere (secondo il rapporto in atti e la conferma di un testimone) e dalla reciprocità dell’obbligo di sicurezza nei confronti dei soci.

Avverso la sentenza proponeva ricorso la società B. M. & C. SNC, affidando le proprie censure a tre motivi con i quali chiedeva la cassazione della sentenza. Resisteva l’INAIL con controricorso.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte esamina il primo motivo attraverso il quale la società B. M. & C. SNC lamenta violazione, errata e falsa applicazione degli artt. 444 e 445 c.p.p. nonché l’omessa, apparente e contraddittoria motivazione circa l’automatica trasferibilità in sede civile degli effetti della sentenza di patteggiamento e lo ritiene infondato.

Rileva la Corte che:

contrariamente a quanto si assume a fondamento della doglianza, la responsabilità della ricorrente nei confronti dell’INAIL, che ha agito in regresso ex artt. 10 e 11 del d.pr. 1124/1965, non è stata sostenuta dalla Corte territoriale esclusivamente sulla scorta degli effetti extrapenali della sentenza di patteggiamento; la quale, peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sebbene priva di efficacia automatica sui fatti contestati, assurge ad indiscutibile elemento di prova, essa è stata bensì affermata anche in base alla riconsiderazione degli atti penali, del capo di imputazione e della testimonianza (già valutata dal primo giudice) del tecnico dell’ASL in merito alia “negligenza strutturale proprio nell’impianto di cantiere.

E ribadisce che tale decisione aderisce all’orientamento giurisprudenziale prevalente in base al quale “La sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi degli artt. 444 e 445 cod. proc. pen. (cd. “patteggiamento”) non ha, nel giudizio civile, l’efficacia di una sentenza di condanna. Pertanto, il giudice civile deve decidere accertando i fatti illeciti e le relative responsabilità autonomamente, pur non essendogli precluso di valutare, unitamente ad altre risultanze, anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti“, richiamando ulteriore giurisprudenza.

La Corte passa poi ad esaminare “(…) il tema della responsabilità nei confronti dell’INAIL che agisca in regresso nei confronti della società in nome collettivo per un infortunio occorso ad uno dei soci lavoratori della medesima società”.

Dopo aver rilevato che in realtà il ricorso si limita a sollevare generiche critiche alla sentenza d’appello, da ritenersi irrilevanti ed inammissibili in sede di legittimità, entra comunque nel merito della problematica ed assume che “(…) una volta definito il giudizio penale con sentenza di patteggiamento da parte del responsabile imputato nel processo penale, ai fini della responsabilità civile regolata dalla speciale disciplina di cui agli artt.10 e 11 del T.U. 1124/65 occorre accertare comunque, in via autonoma, l’esistenza dell’illiceità penale del fatto procedibile d’ufficio che qui è stata correttamente vagliata dai giudici di merito”.

Aggiunge la Corte che la “soggezione passiva all’azione di regresso dell’INAIL sia da riconoscere anche alla società in nome collettivo la quale deve rispondere per gli esborsi erogati in occasione di infortuni o malattie professionali dei soci, assicurati secondo l’art.4 n.7 del T.U.1124/1965. Ciò ovviamente a prescindere dalla mancanza della formale qualificazione di datore di lavoro in capo alla società in nome collettivo rispetto al socio infortunato, essendo previsto per legge  (art. 9, 2° c. T.U.) che le società di ogni tipo sono considerate datori di lavoro agli effetti dell’assicurazione INAIL. Ad ogni modo anche a voler considerare tale qualificazione in relazione al solo legale rappresentante B. M. , nei cui confronti si è svolto il procedimento penale, va riferito che la giurisprudenza di questa Corte (sentenza Sezioni Unite 16 aprile 1997, n. 3288) ha esteso l’ambito soggettivo dell’azione di regresso dell’INAIL verso soggetti diversi dal datore di lavoro statuendo ad es. che pure nei confronti dei compagni di lavoro o dei preposti responsabili dell’infortunio sul lavoro, I’INAIL non possa esercitare la comune azione di surroga ex art. 1916 c.c., ma soltanto l’azione di regresso, ove ricorrano i presupposti di cui all’articolo 10 del T.U.. Tale estensione e da ricondurre alla interpretazione più corretta degli articoli 10 e 11 del T.U. secondo cui l’azione di regresso va attribuita all’INAIL nei confronti di tutti coloro i quali, nell’ambito del rapporto di lavoro, o, più precisamente, nell’ambito del rischio tutelato, abbiano commesso fatti astrattamente configurabili come reati perseguibili di ufficio dai quali sia derivato il danno. Avendo la stessa sentenza delle Sez. Unite cit. evidenziato come essa sia “del tutto coerente con i fini generali di prevenzione che presiedono alla disciplina, non sottraendo i diretti responsabili del danno all’integrità o alla salute del lavoratore, all’azione di rivalsa dell’Istituto che, almeno per certi aspetti, ha efficacia monitoria persino maggiore dell’eventuale azione spiegata dall’interessato o dai suoi aventi causa, ed anzi costituendo una ulteriore remora alla inosservanza delle norme poste a prevenzione degli infortuni“.

La Corte passa poi ad esaminare il  secondo motivo di censura.

La società aveva dedotto la violazione dell’art. 2772 cod. civ. ovvero l’omessa insufficiente motivazione in merito all’esistenza della manleva da parte della T. Assicurazioni. Sosteneva la società che la compagnia assicuratrice aveva fatto sottoscrivere un tipo di contratto diverso da quello che era stato proposto (ovvero senza l’inclusione dell’azione di regresso INAIL nella copertura assicurativa) e che la prova per testi, non ammessa, verteva proprio sui tipo di contratto realmente proposto, in base al quale le parti volevano ricomprendere tra gli eventi di rischio garantiti anche l’ipotesi di azioni di regresso INAIL.

La Corte ritiene tale motivo non solo inammissibile bensì privo di fondatezza “(…) in quanto palesemente illogico e contraddittorio, una volta data per assodato che il contratto concluso escluda il rischio in questione dalla copertura assicurativa”.  Aggiunge la Corte che la “ (…) prova di cui si discute o era intesa ad affermare l’aggiunta di patti contrari al contenuto di un documento, risultando così inammissibile ex art. 2722 c.c.; o altrimenti sarebbe stata del tutto irrilevante in quanto, data la pacifica mancanza di copertura del rischio in oggetto nella polizza sottoscritta dalle parti, non vi è alcun interesse a sapere su cosa esse intendessero in realtà contrattare.

Sul terzo motivo esaminato dalla Corte, concernente le spese di lite, possiamo procedere oltre.

In conclusione la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle  spese del giudizio.

Tutto chiaro ?

La sentenza in oggetto propone, sotto una diversa angolatura, il tema della responsabilità per gli infortuni ai dipendenti. Nella specie si trattava di un socio, ma – come si è potuto leggere chiaramente – per la Corte la cosa non cambia in materia di responsabilità civile nel confronti dell’INAIL che agisca in regresso.

Vediamo innanzitutto cos’è l’azione di regresso esercitata dall’INAIL, che può esercitare il proprio diritto di rivalsa sia con la predetta azione di regresso sia con una azione di surroga sulla base di diversi presupposti.

Possiamo utilizzare una sintetica definizione che la Corte di Cassazione ha espresso in una altrettanto recente sentenza.

“L’azione di regresso dell’INAIL è una speciale azione, di natura contrattuale (…) che compete all’INAIL iure proprio nel confronti delle persone civilmente responsabili ed è regolata dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. 1124/1965. In base alle stesse norme risulta anzitutto che il datore di lavoro, soggetto obbligato all’assicurazione ai sensi del D.P.R. 1124/1965, sia esonerato dalla responsabilità civile (art. 10, 1° comma; “l’assicurazione a norma dei presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sui lavoro”). A seguito dei numerosi interventi della Corte costituzionale sul regime della responsabilità datoriale prevista dal t.u. sull’assicurazione per Infortuni e malattie professionali (…), il datore di lavoro rimane comunque responsabile nei confronti del lavoratore per il c.d. danno differenziale e nei confronti dell’INAIL che agisca in regresso, quando esista l’illiceità penale del fatto (accertabile anche Incidentalmente in sede civile) e si tratti di lesioni perseguibili d’ufficio (…). L’Inail può esercitare il regresso soltanto in relazione alle “indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti” (art.10, cui rinvia pure l’art. 11 dpr 1124/65). Con la recente sentenza n. 5160 del 2015 le Sezioni Unite, pronunciando sulla natura del termine stabilito dall’art.112 del dpr 1124/65 per l’esercizio dell’azione di regresso nei confronti dei datore di lavoro, ove non sia iniziato alcun procedimento penale, hanno osservato che l’INAIL, con l’azione di regresso prevista dal D.P.R. n. 1124, artt. 10 ed 11 cit., agendo contro il datore di lavoro dell’assicurato infortunato, fa valere in giudizio un diritto proprio, nascente direttamente dal rapporto assicurativo (…), spiegando un’azione nei confronti del datore dì lavoro che ha violato la normativa sulla sicurezza sul lavoro, In qualche misura assimilabile ad un’azione di risarcimento danni promossa dall’Infortunato, tanto che il diritto viene esercitato entro i limiti dei complessivo danno civilistico ed è funzionalizzato a sanzionare il datore di lavoro, consentendo contestualmente all’Istituto assicuratore di recuperare quanto corrisposto al danneggiato (…)” (Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 giugno 2016, n.13061)

In sostanza e per quel che interessa ai nostri fini

Il diritto di rivalsa dell’INAIL è regolato dall’art. 11 Testo Unico (DPR n. 1124/1965), con riferimento alla responsabilità civile del datore di lavoro e dall’art. 1916 Cod. Civ., con riferimento alla responsabilità civile di terzi estranei al rapporto assicurativo, nei casi in cui questi provocano un danno al lavoratore. Il diritto di rivalsa nei confronti del datore di lavoro è esercitato dall’ INAIL in sede giudiziaria tramite azione di regresso, nei casi in cui il fatto dal quale deriva l’infortunio costituisce reato attribuibile al datore di lavoro (ad esempio, nel caso in cui il lavoratore subisca un infortunio sul lavoro perché il datore di lavoro ha violato norme antinfortunistiche).

Il diritto di rivalsa nei confronti del terzo estraneo al rapporto assicurativo è esercitato dall’INAIL in sede giudiziaria tramite azione di surroga (ad esempio nel caso del c.d. infortunio in itinere, con responsabilità civile di un terzo coinvolto nell’incidente).

Una volta stabilite queste premesse è opportuno prendere in considerazione l’aspetto concernente la chiamata in manleva della compagnia di assicurazione.

Nel caso di specie INAIL, una volta condannato in sede penale il datore di lavoro (tralasciamo in questa sede le problematiche concernenti la sentenza c.d. di patteggiamento), aveva agito in regresso per vedersi rimborsare quanto versato al lavoratore a titolo di indennizzo.

La società aveva chiesto di chiamare in garanzia la propria compagnia di assicurazione, deducendo prova per testi, finalizzata a dimostrare l’estensione della copertura assicurativa anche ai danni che avessero attinto i soci. Prova inammissibile. E comunque, secondo la Corte, illogica, posto che risultava pacifica la mancanza di copertura del rischio in oggetto nella polizza sottoscritta dalle parti.

Abbiamo avuto modo di rammentare, anche di recente, come, nella stipulazione di una polizza – ed in particolare quelle concernenti la responsabilità civile per l’ipotesi degli infortuni sul lavoro – la necessità di clausole chiare e comprensibili sia di fondamentale importanza.

Come dimostra il caso in esame, poi, le estensioni delle garanzie necessitano di ulteriori attenzioni. Se qualcosa cambia nell’esercizio dell’attività o se ci si accorge che la polizza in essere non copre un ambito particolare, che pur tuttavia può essere fonte di rischio, è necessario intervenire subito e non attendere che gli eventi rendano manifesta l’inidoneità della polizza.

E’ vero, l’abbiamo già rammentato:  non esiste e non può esistere una garanzia totale ed assoluta.

Ciò nonostante, per poter stipulare un contratto di assicurazione che in materia di infortuni sul lavoro cerchi di corrispondere alle specifiche esigenze della società datrice, risulta assolutamente necessaria la conoscenza della specifica realtà aziendale e della diversa ed altrettanto specifica tipologia dei rischi.

Per questo occorre farsi assistere nella stipulazione di una idonea garanzia assicurativa e nella gestione della stessa.