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  /  News   /  La Corte di Cassazione in tema di ambiguità delle clausole assicurative. L’assicurazione contro i danni e l’interpretazione del contratto. La sentenza n.668/2016 del 06.10.2015 / 18.1.2016 Sezione Terza Civile.

La Corte di Cassazione in tema di ambiguità delle clausole assicurative. L’assicurazione contro i danni e l’interpretazione del contratto. La sentenza n.668/2016 del 06.10.2015 / 18.1.2016 Sezione Terza Civile.

La vicenda

La società  IT. srl  è una società commerciale che ha per oggetto sociale la produzione di calcestruzzo.

A copertura dei danni derivanti dalla propria attività, la società stipulava un contratto di coassicurazione contro i danni con tre coassicuratrici (Fondiaria Sai – Allianz e Generali Italia). Il contratto prevedeva che l’eventuale indennizzo fosse vincolato a beneficio della BNL Spa la quale era creditrice della società per aver finanziato uno stabilimento.

Il 18.7.2007 in quello stabilimento scoppiava una autoclave per la produzione di calcestruzzo che provocava danni devastanti e la morte di una persona. La società It. srl chiedeva quindi alle tre coassicuratrici  il pagamento dell’indennizzo per effetto della polizza. Nel 2008 le tre coassicuratrici chiedevano al Tribunale di Roma di accertare e dichiarare che i danni causati non erano indennizzabili perché provocati da un evento non compreso tra quelli previsti dalla polizza.

Deducevano le società coassicuratrici che il contratto copriva i danni da scoppio causati da “eccesso di pressione” mentre, nel caso concreto, lo scoppio era stato causato non da tale eccesso di pressione bensì da un “cedimento strutturale” del meccanismo di chiusura dell’autoclave scoppiata.

La società IT. srl si costituiva nel giudizio formulando domanda riconvenzionale di condanna delle coassicuratrici al pagamento dell’indennizzo dovuto.

Anche BNL Spa si costituiva chiedendo al Tribunale di condannare le coassicuratrici al versamento dell’importo di €.7.400.000,00, oltre interessi, qualora accertata l’indennizzabilità del sinistro.

Il Tribunale, con sentenza del 2010, dichiarava che il sinistro era indennizzabile a termini di polizza e condannava le coassicuratrici al pagamento dell’indennizzo quantificato in 6.,4 milioni di euro.

Il Tribunale osservava in particolare che il contratto copriva i danni da scoppio quale ne fosse la causa ed una diversa interpretazione del contratto era impossibile perché sarebbe stata incoerente con lo scopo delle parti, che era quello di proteggere l’impianto contro tutti i rischi di scoppio, ed avrebbe privato di ogni efficacia il contratto perché l’interpretazione delle coassicuratrici avrebbe determinato che nessuno scoppio sarebbe mai stato indennizzabile.

La sentenza veniva impugnata da tutte le parti.

La Corte di appello di Roma con sentenza del 2014 accoglieva il gravame delle coassicuratrici rigettando, conseguentemente, tanto la domanda della società IT. srl  quanto della BNL .

Secondo la Corte il termine scoppio usato nella descrizione del rischio assicurato doveva intendersi secondo il senso comune di rottura fragorosa dovuta ad un eccesso di pressione dall’interno ed il contratto andava interpretato nel senso che per pressione eccessiva dovesse intendersi solo quella superiore alla capacità di resistenza del macchinario. Accertava quindi in facto che al momento dello scoppio la pressione interna era inferiore a quella massima consentita e che la causa dello scoppio era dovuta ad un deficit strutturale del macchinario. Non essendosi verificato alcun eccesso di pressione – come richiesto dal contratto – il danno non era indennizzabile.

La sentenza veniva nuovamente impugnata da tutte le parti:

  • dalla società IT. srl  in via principale;
  • dalla BNL in via incidentale;
  • dalle coassicuratrici in via incidentale condizionata.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte, innanzitutto, risolve i problemi concernenti le modalità relative alla priorità dell’esame dei ricorsi, assumendo la necessità di dove procedere dapprima con l’esame dell’incidentale delle coassicuratrici per poi passare all’esame dell’incidentale  della BNL.

Assume, quindi, la Corte, che i ricorsi delle coassicuratrici  hanno un identico contenuto.

Secondo queste, la sentenza della Corte di appello sarebbe stata viziata da nullità per aver ritenuto che la sentenza del Tribunale non fosse a sua volta affetta da ultrapetizione. Secondo le coassicuratrici, infatti, nessuna delle parti aveva mai dubitato del fatto che il contratto andasse interpretato nel senso che lo scoppio dei macchinari causato da una pressione inferiore a quella massima tollerata non rientrasse tra i sinistri indennizzabili e la domanda rivolta al Tribunale era quella di accertare quale fosse tale pressione. Il Tribunale, invece, andando oltre a quanto richiesto, si era spinto a stabilire come doveva essere interpretato il contratto nella parte in cui definiva il concetto di scoppio, concludendo nel senso che dovesse ritenersi scoppio anche quello provocato da una pressione inferiore a quella massima di esercizio rivelatasi però esiziale a causa del cedimento strutturale del macchinario.

La Corte di Cassazione ritiene tale motivo infondato.

La Corte rammenta che l’oggetto del giudizio si determina in base a quanto richiesto dall’attore ma anche in base a quanto eccepito dal convenuto. Nella specie se le coassicuratrici avevano chiesto al Tribunale di accertare che nulla era dovuto all’assicurata, questa – così come BNL – aveva chiesto, in via riconvenzionale, la condanna delle coassicuratrici al pagamento dell’indennizzo.

Aggiunge, la Corte, che a fronte di un testo contrattuale del quale si invochi o neghi l’efficacia, il giudice ha il compito di accertare se il contratto esista, quale sia il contenuto, e quali gli effetti. 

E conclude l’elaborata prospettazione assumendo che se:

la domanda si identifica in base ai presupposti di fatto che la sorreggono, non in base alle ragioni di diritto che la illustrano, non sussiste alcun vizio di ultra – od extrapetizione – se il giudice qualifichi o interpreti il rapporto controverso in modo diverso rispetto alle parti (…)

Nella specie la società IT. srl e BNL avevano prospettato in fatto sia l‘esistenza di un contratto di assicurazione che l’esistenza di una clausola che obbligava l’assicuratore a tenere indenne l’assicurato in caso di scoppio.  Mentre, stabilire se quella clausola fosse idonea a produrre quell’effetto giuridico, costituiva una valutazione sottratta al vincolo della prospettazione delle parti.

Superato questo scoglio la Corte passa all’esame del ricorso incidentale della BNL.

BNL lamenta, col primo motivo, che la Corte d’appello non avrebbe esaminato tutte le proprie difese.

La Corte assume, per converso, che il Giudice del merito non è tenuto a prendere in esame tutte le argomentazioni essendo sufficiente che dia conto della propria decisione in modo logicamente coerente e giuridicamente corretto; e rigetta tale motivo.

Passa poi all’esame del secondo motivo e lo reputa inammissibile ritenendo che, contrariamente ai profili dedotti – motivazione oscura, contraddittoria e addirittura mancante -, la Corte d’appello abbia dedicato ampio spazio ad illustrare le ragioni per le quali ha ritenuto infondata la pretesa della società IT.

Passando all’esame del terzo, quarto e quinto motivo del ricorso BNL la Corte li esamina congiuntamente.
Secondo la banca ricorrente la Corte d’appello aveva violato i canoni legali di interpretazione dei contratti, in particolare per non aver cercato la comune volontà delle parti, per non aver interpretato le clausole le une per mezzo delle altre, ed ancora per aver adottato una interpretazione che privava il contratto di effetto ed infine perché al cospetto di una clausola ambigua l’aveva interpretata a favore del predisponente.

Superata, poi, l’eccezione di inammissibilità formulata su questi motivi dalle coassicuratrici –  in ragione della  novità degli stessi -, sull’assunto che BNL aveva formulato una chiara ed inequivoca domanda riconvenzionale di condanna delle stesse al pagamento dell’indennizzo, nell’ipotesi di accertamento dell’indennizzabilità del sinistro,  la Corte di cassazione ritiene i motivi fondati.

La Corte, dopo aver richiamato i passaggi rilevanti della decisione in appello, assume che il giudice dell’appello ha adottato una interpretazione incoerente tanto con la lettera del contratto quanto con la volontà delle parti.

Secondo la Corte “ (…) il contratto non stabiliva in alcun modo se la pressione eccessiva fosse soltanto quella superiore al valore massimo tollerabile dal macchinario (…) ovvero potesse essere anche quella idonea a “dirompere” (come recita la polizza) un macchinario difettoso (…)”,  di tal che “(…) dinanzi ad una clausola lessicalmente così ambigua, non poteva arrestarsi al senso fatto proprio dalla connessione delle parole, per la semplice ragione che tale senso non esisteva (…)”  ed avrebbe quindi “(…) dovuto applicare tutti gli altri criteri legali di ermeneutica (…)”.

Rammenta la Corte che l’inequivoca chiarezza delle clausole “(…) in tema di assicurazione è imposta dal secolare obbligo di uberrima bona fides gravante su ambo le parti (…)”  ed è “(…) oggi imposta all’assicuratore sia dall’art. 166 cod. ass. (…) sia dagli art. 5 e 31 Reg. Isvap 16.10.2006 n.5 (…) “.

Aggiunge, la Corte, che il giudice dell’appello ha adottato una interpretazione del contratto incoerente con la volontà delle parti. La società infatti aveva inteso assicurare contro i danni uno stabilimento industriale che era stato costruito col finanziamento ricevuto dalla banca, che aveva accordato il credito esigendo la stipula di una polizza a copertura – tra gli altri – dei danni derivanti da scoppi in genere. E l’esistenza del finanziamento era nota alle coassicuratrici.

Ancora, rileva la Corte che laddove l’ambiguità della clausola non fosse risultata superabile con i criteri sopra enunciati il giudice dell’appello avrebbe dovuto intenderla in senso sfavorevole a chi quella clausola aveva predisposto, ovvero alle coassicuratrici, non essendo mai stato messo in discussione che il contratto era stato stipulato sulla base di condizioni unilateralmente predisposte, mentre il giudice dell’appello aveva interpretato la clausola ambigua in modo favorevole al predisponente.

Al termine di questo articolato ragionamento la Corte, accogliendo i tre motivi esaminati, ha espresso il principio di diritto rivolto al giudice del rinvio:

Il contratto di assicurazione deve essere redatto in modo chiaro e comprensibile. Ne consegue che, al cospetto di clausole polisenso, è inibito al giudice attribuire ad esse un significato pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., ed in particolare quello dell’interpretazione contro il predisponente, di cui all’art. 1370 c.c.”.

Passando infine ai motivi formulati dalla società IT. srl , li ritiene tutti inammissibili.

Nondimeno, l’accoglimento del ricorso di BNL giova alla società IT. srl , posto che l’accertamento della sussistenza del debito dell’assicuratore non può essere difforme, nel caso di specie, per l’assicurato IT. srl  rispetto a BNL.

Tutto chiaro ?

Il tema proposto dalla sentenza in esame è quanto di più importante vi sia nella stipulazione della polizza per danni. Le clausole devono essere chiare e comprensibili.

Sulla  possibilità di interpretare in modo difforme – se non addirittura opposto – le stesse clausole di polizza ci siamo altrove già soffermati. Gli sviluppi del caso quivi esaminato ne sono uno dei tanti esempi.

Ma come è possibile giungere ad un risultato che tenga effettivamente conto di ciò che necessita all’assicurato? Ed è possibile limitare le interpretazioni creative o peggio quelle del tutto fantasmagoriche che pur tuttavia alle volte vengono opposte ?

Certo, nel caso in esame ciò che ha salvato  – si fa per dire – la società, è proprio l’ambiguità della clausola, ma questo risultato non può essere generalizzato né l’ambiguità può essere assunta come parametro da utilizzare.

E se la Corte ha dovuto esprimere il principio, nonostante le modalità interpretative dei contratti siano previste dal codice civile, significa che la questione necessita di essere risolta, se possibile, a monte. Anche perché, per sostenere tre gradi di giudizio (nella specie almeno quattro, visto il giudizio di rinvio stabilito dalla Corte), occorre avere anche la potenza di fuoco per farlo. Le cause costano.

Del resto, è parte del comune sentire l’idea che le Assicurazioni  abbiano la tendenza a trovare qualsiasi escamotage per affermare che quel determinato danno – guarda caso una volta verificatosi – non è in garanzia di polizza, soprattutto allorché il danno non è cosa di poco conto (come era avvenuto nel caso esaminato).

Ed è altrettanto parte dello stesso comune sentire l’idea che a fronte di un premio modesto le garanzie siano ugualmente modeste.

Tuttavia, non è neppur vero che l’eventuale premio rilevante garantisca tutti i danni possibili ed immaginabili.

La realtà è che non esiste e non può esistere una garanzia totale ed assoluta.

La complessità della vita degli umani e lo sviluppo della tecnologia, così come lo sviluppo e l’ampliamento degli ambiti nei quali si esplica l’attività economica, sono tali che la multiforme varietà delle fattispecie concrete non è mai totalmente sussumibile in corrispondenti fattispecie astratte.

E se da un lato – anche grazie all’intervento normativo in diversi ambiti (igiene, sicurezza, infortunistica sul lavoro, etc.) – vengono meno o si riducono sensibilmente alcuni tipi di rischio, dall’altro lato nuovi o più specifici rischi emergono, anche solo a seguito di modifiche – magari migliorative – delle modalità di svolgimento della attività economica, di adeguamento ai processi tecnici, o alle nuove disposizioni amministrative o normative.

La Corte di Cassazione ha rammentato che il contratto di assicurazione si fonda sul concetto di uberrima bona fides, ovverosia sulla necessità della massima buona fede che deve contraddistinguere i rapporti tra le parti.

Ma ciò presuppone che l’assicurato, prima di poter stipulare il contratto di assicurazione, abbia un quadro il più possibilmente preciso ed attuale della natura e della tipologia dei rischi che, per effetto delle clausole inserite nel contratto, vengono trasferiti all’assicuratore e quali siano le esigenze e le garanzie che vengono richieste.

Come più volte abbiamo ribadito, quindi, non è solo opportuno bensì assolutamente necessario perimetrare l’ambito dei rischi, attualizzarlo costantemente e soprattutto allorché vengono inserite nuove o diverse modalità di svolgimento dell’attività economica, ovvero vengono indicate nuove disposizioni normative, od anche semplicemente amministrative, che possono comportare modifiche dei rischi e potenziali danni.

Non è possibile assicurarsi contro ogni rischio immaginabile ed in modo assoluto. E non è neppure necessario.

Occorre invece individuare i rischi cui si è – in relazione alle specifiche esigenze – potenzialmente esposti e farsi assistere nella stipulazione di una idonea garanzia assicurativa e nella gestione della stessa.